Condotte d’abuso e trattamento psicoterapeutico secondo una prospettiva cognitivista

CAFISO M.*

CONDOTTE D’ABUSO E TRATTAMENTO PSICOTERAPICO

SECONDE UNA PROSPETTIVA COGNITIVISTA

 

            La fenomenologia delle condotte d’abuso ovviamente travalica quella della dipendenza patologica da sostanze stupefacenti ed alcol, che sono più note e le più trattate scientificamente, e si inserisce a diritto nella psicopatologia anche per la contiguità con le più note manifestazioni cliniche.

            I manuali più usati nella descrizione dei disturbi mentali e del comportamento, il DSM IV Re l’ICD 10, rappresentano i riferimenti universalmente accettati per la diagnosi delle dipendenze patologiche. Entrambi i manuali si riferiscono al concetto di desiderio, forte, incoercibile ad assumere una sostanza psicoattiva.

            Ulteriormente troviamo la definizione di addiction, traducibile come brama incontenibile ed incontrollabile verso una sostanza e il coinvolgimento assoluto nella ricerca, anche spasmodica, di essa o di un suo surrogato, con perdita di interessi per ogni altra attività prima agita.

            La dipendenza è caratterizzata invece dalla necessità di ripetute somministrazioni della sostanza elettiva, finalizzate ad evitare la sindrome di astinenza, alla quale si arriva se privati della sostanza. È acclarato che la dipendenza non ha soltanto un versante fisiopatologico, anche se il più evidente. Essa è caratterizzata da una complessa dimensione cognitiva ed emotiva, nonché autovalutativa. Ciò è particolarmente evidente in dipendenze patologiche apparentemente diverse tra loro, quali droghe, gioco d’azzardo, acquisti compulsivi e la stessa compulsione da internet.

            Ma è probabile che molti legami affettivi — per lo più considerati normali — abbiano le stimmate della dipendenza, che può spingersi sino a forme di “addiction” da partner. Chiamati in causa i sistemi dopaminergici del piacere ed in particolare la via che collega i neuroni dopaminergici dell’area tegmentale ventrale (VTA), posta alla base del cervello, con le cellule sensibili alla dopamina del nucleo accumbens I

(NA). Ciò in considerazione del fatto che gli esseri umani non ricercano e ricevono piacere unicamente dall’assunzione di composti chimici, ma soprattutto da condizioni relazionali tali da apportare gratificazione, benessere e imprimere così nei geni memorie di piacere attraverso atti comportamentali ripetibili.

Il problema sembra essere quello relativo alla ricerca del piacere divenuta l’unico scopo dell’esistenza. In questo caso, droghe, atti o persone da cui si dipende per provare piacere, diventano fonte incoercibile di desiderio e questo, stressando probabilmente il sistema dopaminergico, è in grado di creare una condizione distruttiva e di sofferenza, che è poi l’effetto di ogni dipendenza protrattasi nel tempo.

Nei cocainomani il nucleo accumbens si eccita — come dimostra la risonanza magnetica funzionale (fMRI) e la tomografia ad emissione di positroni (PET), quando vi è solamente l’offerta della droga. E lo stesso avviene quando all’assuntore di cocaina vengono proposte immagini di individui che assumono quella droga o soltanto di “piste” di polvere bianca, che i soggetti dipendenti interpretano comunque come cocaina. Non solo, ma anche il cervello dei giocatori d’azzardo patologici davanti ad immagini di slot machine o di roulette si “accende” con le stesse modalità. Quindi la dipendenza, di là delle sostanze, ha forti analogie negli schemi cerebrali e quindi di comportamento. E non solo la via VTA — NA già descritta, ma evidentemente anche alcune aree corticali deputate ai processi valutativi.

            Il trattamento terapeutico dovrà tenere conto di queste evidenze, puntando non soltanto sulla detossicazione fisica, ma soprattutto sulla ricontestualizzazione del soggetto e sulle alternative cognitive e comportamentali alla condotta stereotipata della ricerca del piacere. Non è sufficiente

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*Medico chirurgo, operatore volontario dell’Unità Operativa diagnostico-terapeutico della comunità “Rinascita” di Siracusa.

Cafiso  M.: Condotte d’abuso e trattamento psicoterapico secondo una prospettiva…

 

allontanare tout court la personalità dipendente dalla sostanza o dalla situazione dalla quale dipende.

            L’esposizione cronica a certe sostanze pare comporti la gemmazione cerebrale di spine dendritiche nelle ramificazioni appunto dei dendriti del Nucleo accumbens, che così rendono più stabili le connessioni con altri neuroni. Nei ratti l’evidenza è rappresentata dal prolungarsi di tale gemmazione per diversi mesi dopo l’interruzione dell’assunzione della sostanza. Tutto ciò potrebbe avere a che fare col carattere di inevitabilità dell ‘addiction e della sua forza di condizionamento per l’individuo.

            I trattamenti psicoterapici in aggiunta a quelli farmacologici per l’evitamento dell’astinenza, la diminuzione della dipendenza e il contenimento del craving, possono svolgersi in ambiente ambulatoriale o protetto (es. comunità terapeutica). In quest’ultimo caso il controllo di molte variabili che hanno soggettivamente rilevanza per la spinta drogastica o compulsiva è migliore. Il problema più saliente del trattamento è rappresentato dall’elevato numero di recidive, per questo sarebbe necessario prevedere sempre dei follow up pluriennali per verificarne l’efficacia e lavorare sul modello terapeutico. Tra i fattori critici, propedeutici a far recidivare il soggetto, annoveriamo la personalità strutturalmente disturbata (comorbilità), l’ambiente familiare disfunzionale a livello relazionale, una condizione affettiva precaria, la carenza di opportunità lavorative nel reinserimento, l’incapacità di gestire gli eventi stressogeni.

            Trattando questi soggetti presso strutture riabilitative (in particolare ci si riferisce all’esperienza presso comunità “Rinascita” di Siracusa, che opera nel campo delle recidive e con soggetti portatori di “doppia diagnosi” da 24 anni), sono evidenti le difficoltà nel modificare la spinta al contenimento di taluni bisogni e allo loro procrastinazione, elevare il livello di tolleranza alle frustrazioni, far adottare al paziente uno stile di vita ove sia prevista l’autolimitazione cosciente, spingerlo al riconoscimento precoce dei precursori delle condotte compulsive, cercando alternative comportamentali, motivarlo al confronto continuo con interlocutori privilegiati in grado di fornirgli tali alternative, evitando così la tendenza autoreferenziale.

            La ristrutturazione cognitiva del paziente compulsivo in ambiente protetto si basa appunto sui seguenti punti:

1) apprendimento di modalità di pensiero diversificato dalla condotta d’abuso che consenta l’emissione di comportamenti funzionali ed adattivi;

2) evitamento per scelta di contesti e situazioni ove più difficile l’automonitoraggio in tal senso;

3) apprendimento di tecniche di gestione del pensiero che riconducano alla coscientizzazione della scelta più opportuna o favorevole in alternativa alla condotta dipendente.

            È proprio sulla dipendenza, che è intercambiabile, che un trattamento psicoterapico in ambiente comunitario dovrebbe puntare. Sul riconoscimento cioè che non è fondamentale occuparsi della tipologia drogastica, quanto delle modalità codificate del paziente a rappresentarsi il mondo, ad autopercepirsi e ad emettere risposte comportamentali stereotipate e principalmente volte all’autogratificazione al di là delle conseguenze già sperimentate.

            La ricerca di fonti di piacere alternative non è mai comunque esente dall’eco del trascinainento verso vecchie modalità considerate patologiche. E ciò per l’apprendimento pregresso di un piacere legato all’addiction. Si tratta tuttavia di un’operazione da tentare, perché sarebbe impossibile escludere tale rischio, evitando che un essere umano percorra comunque una via che lo porti alla gratificazione. Quanto più si addestra una persona a funzionare in modo “corticale”, non inibendo per questo le vie emozionali, ma garantendo ad esse una mediazione razionale efficace ma al tempo stesso gratificante, tanto più l’abbandono della dipendenza e del cravíng rappresenta una possibilità terapeutica relativamente stabile nel tempo.

Formazione Psichiatrica n. 3 e 4 Luglio – Dicembre 2005

Nel campo della riabilitazione dalle dipendenze patologiche c’è la tendenza ad accontentarsi di remissioni precarie spesso per difficoltà a programmare modelli complessi di trattamento e di adeguata durata. Il funzionamento personale e sociale di una personalità con problemi dì dipendenza non può non comprendere alla fine del programma terapeutico le seguenti acquisizioni:

1) la dismissione della dipendenza iniziale;

2) l’evitamento di condotte contigue (dipendenze collaterali o sostitutive);

3) funzionamento interpersonale e lavorativo adeguato;

4) capacità di fronteggiare adattivamente gli stressor.

            La psicoterapia cognitiva e la Rebt di A. Ellis in particolare, adottata nel modello comunitario a cui si fa riferimento, prevede l’addestramento del paziente alla processazione degli eventi alla ricerca della soluzione più proficua in senso adattivo. Ciò necessità di training prolungati sul riconoscimento del problema e sulla ricerca di altre risposte, attraverso l’analisi del modo di pensare (modello A-B-C) e il fissaggio di obiettivi possibili, alternativi alla risposta disfunzionale. Il riconoscimento del proprio sistema di riferimento e delle idee irrazionali lì incistate, aiuta ad adottare nuovi modi di pensare e perciò nuovi stili di vita.

            In genere è utile insegnare al paziente a comprendere che sono non necessariamente gli eventi della vita, considerati più o meno traumatici, a sviluppare sintomi o sindromi, ma più facilmente la ripetitività dei comportamenti inadeguati, irrazionali o disfunzionali, che diventano modus vivendi, pur risultando visibilmente negativi. C’è una tendenza culturalmente diffusa alla ruminazione vittimizzante di eventi della storia familiare o personale del soggetto considerati indelebilmente pregnanti, verso i quali autocommiserarsi ritenendosi impotenti a qualsiasi altra possibilità

            Parimenti le personalità dipendenti in particolare, tendono a cercare fuori da sé i motivi del loro malessere. Ciò oltre ad essere superfluo scoraggia una concreta ricerca del “ciò che posso fare io” per modificare la mia vita. Le personalità ripetitive, quali sono quelle strutturalmente disturbate e/o con problemi di dipendenza patologica, tendono inoltre a produrre teorie inefficaci per la lettura e soprattutto la risoluzione del loro disagio. È utile al riguardo modificare questo approccio con la realtà, spingendoli alla ricerca di teorie più efficaci ed autocentrate sul paradigma “dipende da me”.

            Nel modello psicoterapeutico proposto la soluzione dei problemi si attribuisce essenzialmente dallo stesso soggetto. In primo luogo tentando la migliore definizione possibile degli stessi, successivamente cercando le migliori alternative possibili rispetto alla risposta patologica. Si tratta, com’è facile intuire, di un’impostazione che spinge all’autonomia, evitando la delega. Autonomia che non deve integrare l’onnipotenza, anzi. Chi impara a conoscersi, accettando le proprie criticità, può meglio sottrarsi allo scivolamento verso la sottovalutazione di alcune situazioni e quindi all’uncinainento verso forme morbose di dipendenza. Un individuo sano è probabilmente quello capace di monitorarsi frequentemente, chiedendosi delle cose e facendo delle valutazioni esistenziali oneste.

Cafiso M: Condotte d’abuso e trattamento psicoterapico secondo una prospettiva…

RIASSUNTO

            Il contributo si occupa del concetto di dipendenza in senso lato, oltre cioè le droghe in una prospettiva integrata (neurofisiologica e psichiatrica-psicoterapica). I modelli di intervento in ambito terapeutico-riabilitativo secondo la prospettiva cognitivista del modello di A. Ellis fondano i loro presupposti sull’acquisizione di abilità cognitive di automonitoraggio sulla possibilità di emissioni di risposte comportamentali diversificate da quelle patologiche tipiche dell’addiction. Le prospettive di cura dei soggetti affetti da dipendenza patologica con o senza complicanze non possono prescindere da una revisione dei modelli di intervento attraverso i follow up.

SUMMARY

            The contribution deals him with the concept of dependence in general sense, over that is the drugs in an integrated perspective (neurofisiologica and psychiatric-psicoterapica). The models of intervention in circle therapeutic-riabilitativo according to the perspective cognitive of the model of A. Ellis found their presuppositions upon the acquisition of ability cognitive of automonitoring on the possibility of issues of behavioural. answers diversified by those pathological typical of the addiction. The perspectives of care of the subjects affections from pathological dependence with or without complications you/they cannot put aside from a revision of the models of intervention through the follow up.

BIBLIOGRAFIA

 

  1. BEAR R. — CONNORS B.W., PARADISO M.A. – Neuroscienze — Masson. Milano 1999.

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