Che cos’è la dipendenza

Argomenti trattati da Francesco Carpano nel libro: “Stare bene con se stessi e con gli altri, Armando Editore, Roma 2005”

Che cos’è la dipendenza?

Il bambino nei primi mesi di vita, non avendo sviluppato alcune abilità, per soddisfare i propri bisogni materiali dipende in tutto e per tutto dalla mamma. Questo tipo di rapporto si chiama dipendenza. Poi, impara a camminare e riesce a muoversi da solo, successivamente si alimenta da solo e così conquista sempre di più spazi di autonomia, dimostrando di essere in grado di gestire diverse situazioni senza dover dipendere dagli adulti.

La dipendenza, oltre che con le persone si può sviluppare con le cose; se si attiva con il farmaco si chiama farmacodipendenza (ad esempio tranquillanti, sonniferi), con le droghe, si definisce tossicodipendenza.

Il soggetto che prende il sonnifero in quanto teme di non addormentarsi, in un periodo relativamente breve dipendente sviluppa la dipendenza psichica.

La dipendenza può essere anche fisica e si manifesta con l’assunzione di droghe pesanti (eroina, morfina e cocaina). Man mano che si assumono queste sostanze stupefacenti, subentra un fenomeno detto “assuefazione” per cui occorre aumentare il dosaggio per avere lo stesso effetto. Ciò accelera il processo di devastazione psichica e fisica della persona. E’ evidente che quando l’individuo diventa dipendente da una qualsiasi droga, si avvilisce come persona, rinuncia ad affrontare le difficoltà della vita, fugge dalle responsabilità ed è indotto a cercare nuovi  piaceri. Una conseguenza può essere l’arresto dello sviluppo psicologico e dei processi che portano all’indipendenza, all’autonomia, vale a dire, a diventare adulti.

Esistono altre dipendenze che i ragazzi possono sviluppare, ad esempio quella di vedere la TV per diverse ore al giorno. La teledipendenza si manifesta nell’incapacità da parte del soggetto di fare a meno di vedere la TV e se, per motivi diversi il televisore non è funzionante,  entra in crisi.

Esiste anche la dipendenza da videogiochi, cibo, play-station, internet, gioco d’azzardo, etc. Queste dipendenze hanno in comune con le prime di cui abbiamo parlato, il fatto di aver  individuato un certo oggetto come fonte di benessere che non può che rivelarsi illusorio.

Dipendenza e immaturità

La dipendenza psicologica si può definire la tendenza dell’individuo a far dipendere il raggiungimento del suo benessere psichico e sociale da qualcosa o da qualcuno. L’individuo che non è in grado di essere autonomo ed indipendente, ossia di gestire situazioni e problemi, frustrazioni ed ansie, tende a stabilire legami di attaccamento con oggetti, sostanze psicotrope o droghe varie al fine di ripristinare il proprio equilibrio psichico o per vivere più agevolmente l’esistenza.

Gli effetti sono illusori poiché  l’equilibrio che  si raggiunge è solo apparente. In realtà, il soggetto è fuggito dai problemi per sentirsi emotivamente distaccato da essi.

Il bambino, fino a quando non diventa adulto nel vero significato del termine,  vive situazioni di dipendenza psicologica: ciò è normale. Tuttavia, se viene guidato, aiutato, ed incoraggiato a conquistare spazi di relativa indipendenza ed autonomia, sarà capace di estendere queste sue risposte a settori sempre più vasti della realtà.

La dipendenza è, quindi, una fase necessaria ed inevitabile per lo sviluppo emotivo, affettivo e relazionale e dopo si evolverà in indipendenza.

Le persone che diventano dipendenti dall’alcool, dalle droghe e, in alcuni casi i tabagismi (fumatori di tabacco) non hanno superato la fase della dipendenza psicologica e, pertanto, vanno a ricercare il medesimo rapporto di dipendenza con le sostanze o oggetti. 

L’abuso di farmaci e la farmacodipendenza

Negli ultimi anni è notevolmente aumentato il consumo di psicofarmaci, medicine che hanno l’effetto di tranquillanti o di stimolanti di cui si fa, a volte, un uso irrazionale. La causa principale può essere dovuta al fatto che alcune persone non riescono a convivere con il dolore, con l’ansia o con la depressione ossia con le manifestazioni di mancanza di “agio”. Sono incapaci o non vogliono vivere questa situazione e rinunciano a fare un’esperienza importante per la crescita, per temprare il carattere e renderlo più forte. Questa modalità comportamentale ricorda quella del bambino che, incapace di sopportare il minimo dolore, il minimo fastidio, piange richiamando l’attenzione della mamma che subito accorre per tranquillizzarlo e riportarlo alla situazione antecedente all’insorgere del problema.

Chi abusa di farmaci, in particolare di psicofarmaci (tranquillanti, pasticche per dormire, etc.) anziché ricorrere al pianto come fa il bambino, dà al dolore una risposta immatura e infantile che rischia di renderlo dipendente dal farmaco ed incapace di ripristinare il benessere psicologico con le proprie risorse psichiche.

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