Psiche e Madri Coraggio

di Roberto Cafiso  DA LA SICILIA DEL  27.6.16

MADRI CORAGGIO, MADRI COSTANZA, MADRI DISASTRO. MADRI COMUNQUE

 

All’inizio degli anni ottanta furono  denominate  “madri coraggio” perché sfidavano lo spaccio ed i delinquenti che ci lucravano sopra  per salvare i figli tossicodipendenti. Un fenomeno d’impeto al cospetto di una realtà spietata che via via è diventata norma ,  con la rassegnazione  dell’intera società. Quelle madri imbiancate e fattesi vecchie non ci sono più. Il destino dei loro figli è stato incerto e spesso tragico. Ma sono  sempre le donne a continuare a seguire in un mandato senza fine i loro figli, i fratelli,  i mariti, i partner e i congiunti vittime  di una dedizione ad un padrone  crudele e senza pietà.

Donne con una croce sulle spalle, dedite ad una causa  inattesa, dura, che caratterizzerà la maggior parte della loro vita. I loro ragazzi o uomini che siano si drogano, sono  malati di mente, giocano d’azzardo e si cacciano continuamente nei guai. Sono a volte violenti a casa, le picchiano, le minacciano pur di  avere del denaro. Non assumono  la terapia, scappano da casa per poi tornarvi protervi  e falsamente pentiti.  Donne che girano alla ricerca di medici e  trattamenti miracolosi,   che non ci sono. Donne  che spingono per una comunità terapeutica, che si allineano coi figli contro tutti e tutto , nel disperato e vano  tentativo di aiutarli, di stabilire con loro un’alleanza  di pasta frolla, che durerà il tempo del vantaggio personale del malato,  che sempre di più perde le sembianze umane  per diventare uno zombie, uno  spietato cannibale.

Vediamo madri in giro per i servizi pubblici  da trent’anni. Mai dome, esauste, spesso loro stesse inconsapevoli cause del problema del figlio, del fratello, del marito. Non più “madri  – coraggio” ,  perché  prive di  forze per denunziare qualcosa, vergognate ed intimidite dalla condizione del parente. “Madri  – costanza” , che hanno fatto del disagio del congiunto  la loro  ragione  di vita, la propria missione. E si portano sulle spalle provate, esauste, ma mai dome, il fardello pesantissimo della malattia che ha investito l’intera famiglia. Non è facile dire se sia più insostenibile una dipendenza patologica o una malattia mentale. In entrambe vi è una grande, incalcolabile sofferenza per  tutta la famiglia.

Questa d’altronde è l’epoca delle comorbilità, dove l’una patologia  si somma all’altra e dove troppi esperti discutono sul primato dell’uovo o  della gallina, mentre queste donne , dilaniate da un dolore sordo,  incompreso ai più, combattono tra appuntamenti, variazioni di terapia, sedute,  farmaci sostitutivi e  long acting, inclusione in programmi di reinserimento e ricoveri improvvisi in acuzie. Tutte speranze talvolta vane e   col fiato corto. Perché c’è uno zoccolo duro di queste patologie che non andrà in  remissione. Lo intuiscono  queste donne, ma schiacciano subito il pensiero atroce, apparendo  illuse,  persino ottuse. Ma stanno solo cercando di trovare un appiglio qualsiasi per proseguire a respirare, a combattere.

E trascorre la vita, se questa  è vita, così. Un’esistenza che nessuno sceglie e che pochissimi immaginano di quanto dolore può essere intrisa.  E sono le donne per lo più a farsi carico di queste disgraziate realtà che hanno generato e comunque sposato.  Sembra che le donne più degli uomini abbiano  la stoffa per farsi carico di missioni inenarrabili che  sopravvivono a loro stesse. Sarà stato vano spendersi tutta la vita per questi casi senza soluzione ? Se glielo chiedeste  vi risponderebbero che è ciò che dovevano  fare, ciò che era  giusto fare. Saldate inestricabilmente al drammatico destino del loro caro .

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