Psiche e giudizio sociale

ROBERTO CAFISO

 

Il consenso sociale è un’esigenza che stabilizza i comportamenti collettivi e adatta l’individuo al gruppo,  ma talvolta esso può diventare come le spire di un boa e soffocare gli individui. Dipende dal difficile equilibrio che dovrebbe intercorrere tra esigenze personali ed aspettative sociali.

 

Il mondo ci valuta, spesso ci giudica , ingabbiandoci spesso  in opinioni grossolane , frutto di apparenze , pregiudizi o cieco conformismo .  Quanto più un individuo dipende dal consenso sociale quanto più cercherà ad adeguarvisi a costo del proprio benessere. E questo può diventare una spirale senza fine. Si chiama doverizzazione ed è una modalità di funzionamento per la quale “ciò che pensa la gente” diventa vincolante e così ci si adegua  per  paura di essere giudicati male. Le persone con un senso spiccato del dovere vivono una vita che non è la loro, ma quella che ritengono sia l’attesa degli altri nei loro confronti.

 

Quando si diventa soldatini ubbidienti si commisurano comportamenti, le idee e i modi di relazionarsi personali alla maggioranza, reprimendo le proprie esigenze. Il fine è far schizzare in alto l’applausometro sociale dal quale si è succubi, sino a legittimare su questa scala standardizzata  tutto il proprio valore personale. Ma il giudizio degli altri è senza tregua . E per quanto un individuo possa acquisire  conferme  dalla gente nel corso  di un’intera vita ,  basterà un passo falso,  una difformità sui temi condivisi,  per essere sbattuti sul banco degli imputati e ricevere accuse e sentenze definitive. Oggi non si va più al rogo, ma talvolta essere messi al bando può condurre  al suicidio.

 

Il giudizio sociale un bambino lo interiorizza in famiglia, a partire dai continui riferimenti  a “ciò che gli altri diranno o penseranno se ….” E lì tutta una serie di stigmatizzazioni  su modi di essere non conformi o presumibilmente non graditi alla gente. Una pressione insomma ad essere un volto  gradito alla folla, rinunciando alla propria più vera indole e puntando ai sorrisi di approvazione  più che al proprio benessere . Una dottrina pedagogica magari già subita  dagli stessi genitori, genuflessi a loro volta al senno altrui. Una mistura   che viene instillata a goccia lenta  e come un veleno paralizzante produce i suoi effetti inesorabili nel tempo.

 

Conformarsi è pur sempre una prerogativa umana. Farlo entro certi limiti è un’esigenza di salute mentale  per evitare l’espulsione sociale . Ma conformarsi contro sé stessi   è un giogo che alla lunga rende l’esistenza insopportabile sino al punto di farci  ammalare. Non si può imbavagliare per troppo tempo  qualcuno senza il rischio di soffocarlo.

 

E’ nella storia dell’uomo che il progresso e la stessa evoluzione della specie avviene attraverso il dissenso. I “fuori gregge” sono individui che hanno tracciato itinerari oltre la mappa conosciuta, contribuendo ad arricchire l’ umanità. Quasi mai essi sono stati apprezzati  in vita, anzi più spesso sono andati  incontro a critiche feroci e malevoli sino a rischiare la loro stessa libertà o l’ incolumità. La società si difende dal dissenso con varie forme di emarginazione statutarie e dunque legali. In nome della libertà collettiva quella individuale viene, talvolta brutalmente, calpestata.

 

“Ciò che pensa la gente mi lascia indifferente” è un ritornello da ripetere mentalmente più volte al giorno  per  chi è affetto da “sindrome del giudizio sociale”. Non è disprezzo per gli altri, ma sana distanza da verdetti quasi mai obiettivi e disinteressati. Il benestare sociale non può essere un  tritacarne dentro il quale mettere le teste e il conformarsi alla maggior parte non aiuta a godere delle proprie più autentiche qualità.

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