Psiche e giudizi grossolani

ROBERTO CAFISO

 

Che gli esseri umani riescano ad incartarsi mentalmente da soli, producendosi sofferenza è cosa nota. Elementi probabilmente  temperamentali ed altri acquisiti culturalmente concorrono  a farci pensare in maniera disfunzionale e insensata. La tendenza a valutare gli altri in termini globali  è uno di questi visus mentali . Le dicotomie semplicistiche “buono-cattivo ,  “bravo-incapace” ,  “nobile-ignobile”, eccetera,  sono elementi frequenti di valutazione di noi stessi e degli altri.

 

Se anziché valutare la persona in toto riuscissimo a misurare le sue singole azioni le cose andrebbero sicuramente meglio. Possono essere oggetto di giudizio i fatti, cioè i comportamenti singoli,  di quella persona ( o di noi stessi ) e persino  le caratteristiche, le abitudini e le loro conseguenze. Un’analisi scevra da sovraesposizioni di natura assolutistica,  dove dovremmo imparare a non demonizzare o deificare nessuno pregiudizialmente, visto che la natura umana oltreché fallace è anche sovrapponibile alla maggior parte dei suoi componenti.

 

E’ stata definita “metamorfosi patogena” quella dell’ipergeneralizzazione  anti – scientifica relativamente all’uso connotato di significato di certi termini  quali “cattivo”, “brutto”, “tossicomane” , “fannullone”, “ puttanella”, “egoista”, “negro”, “fascista”, “meridionale”, “beduino”, “mostro”, “verme”, “vipera”, “finocchio” e così via. In pratica valutiamo la complessità di un essere umano in base forse ad una sola caratteristica, quella per noi pregnante,  senza tenere conto che un individuo non è un oggetto inerme  e che perciò  è suscettibile a variare, evolversi, essere altro rispetto a qualsiasi stereotipo.

 

A pensarci bene non si capisce in base a quali standard valutativi ogni gruppo sociale giudica i propri simili e lo fa in aperto contrasto sovente con i criteri di altre società. Segno che non esiste in assoluto, tra le popolazione umane, un “cattivo” o un “buono” universalmente riconosciuto. Se proprio volessimo valutare a tavolino il comportamento di un individuo dovremmo farlo semmai a fine vita, mettendo i pro ed i contro della sua esistenza e pervenendo ad un comunque  imperfetto vaglio dell’essere umano. E ammesso che lo facessimo pedissequamente con questo metodo , quali parametri omologabili ci garantirebbero un esito obiettivo della valutazione ?

 

Come si vede il nostro essere approssimativi e  superficiali non rende un buon servizio né a noi tessi, né tantomeno  ai nostri simili,  quando  la scure dell’opinione si abbatte senza esitare su di un essere umano il cui valore intrinseco va ben oltre i suoi singoli atti. E’ un modo per vivere colpevolizzati, doverizzando noi  e il nostro prossimo senza alcuna eccezione,  con una matrice di pensiero di stampo biblico,   oggi anacronistica perché  del tutto  confutabile con un semplicissimo esame di logica.

 

Spesso ci lamentiamo di non riuscire a vivere bene per colpa degli altri o della società . In verità nella maggior parte dei casi le persone costruiscono la propria  infelicità subendo  i propri schemi di pensiero che non hanno mai voluto mettere in discussione,  non riuscendo a liberarsi di pesanti  modelli inflessibili   per riuscire ad  avere nei confronti del genere umano  un atteggiamento meno grossolano ed impressionistico. In altre parole :  costruiamo e manteniamo la nostra prigione di ottusità con le nostre stesse idee immodificabili, che tra l’altro temiamo di modificare. Come dire : meglio soffrire che cambiare idea.

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