Psiche e dipendenti infedeli

di Roberto Cafiso  da LA SICILIA DELL’11.7.16

QUANDO IL DIPENDENTE INFEDELE E’ TALE PERCHE’ DICE LA VERITA’   

La verità è che ci sono cose che non si possono dire. Cose vere ma impronunciabili. E non solo nei regimi totalitari, dove si rischia il carcere o peggio, ma anche in piena democrazia, nei  sistemi politici cosìdetti libertari, ove la ritorsione per aver detto cose contrarie al sistema può costare cara lo stesso. Non con le defenestrazioni, ma con il rendere la vita difficile e ad ostacoli al fustigatore.

Come in un vecchio motivetto del secolo scorso : si fa ma non si dice. I doveri di fedeltà alle amministrazioni da un lato garantiscono dallo sproloquio contro chi ti dà uno stipendio , dall’altro diventano freno alla denunzia, anche di anomalie se non di illeciti veri e propri. E i prezzi da pagare possono riguardare la carriera, il mobbing e l’emarginazione sociale. Il tutto fatto con molta discrezione, come sanno fare i regimi. Con toni pacati e molta burocrazia che attinge a svariate norme di cui i nostri codici abbondano, dove è previsto il tutto ed il suo contrario.

Il dipendente infedele è perciò talvolta quello che denuncia i capi, un andazzo, un gruppo di potere occulto, ingerenze indebite ( politiche o imprenditoriali ), favoritismi sfacciati e prolungati nel tempo. Per tutto ovviamente ci vogliono prove, ma anche in loro presenza il sistema può invocare se non la discrezionalità di taluni atti, la loro correttezza formale. Insomma un muro di gomma vero e proprio, dove va a sbattere l’infedele e le sue accuse che non di rado restano senza risposta. Perché la stabilità dei poteri sovente  è , per implicita natura,   trasversale e di reciproca tutela.

Il mobbing talvolta  invocato  può essere un ‘arma a doppio taglio, laddove l’amministrazione può contro dedurre la condotta inefficiente ed un assetto psicologico labile del denunziante. Insomma una strada irta da percorrere dove la potenziale vittima può trasformarsi in un profittatore  o in  un  bubbone per il luogo di lavoro, con beffa finale e spese legali a suo carico. Non si tratta di una regola, ma non sempre Davide batte il gigante Golia,  anzi l’evento è un’eccezione biblica.

D’altronde va da sé che un ‘organizzazione deve blindarsi in primo luogo dall’interno. E questo può provocare degli eccessi, vale a dire un’estremizzazione dei poteri legalizzati e  istituzionali , non più a garanzia dell’impianto sociale e dunque dei cittadini, ma perversamente  ad avallo degli stessi  gestori del sistema,  che non tollerano attacchi alle loro poltrone. Il tutto camuffato  da indignazione pubblica per l’ ingrato dipendente, che anziché accusare dovrebbe far luce sui suoi scheletri nell’armadio che se non ci sono  c’è sempre modo di farli apparire. Fedeltà anche se fa rima con verità , non sempre vi coincide. Per cui il dipendente apostata che denuncia la sua amministrazione può essere senza meno veritiero ed attendibile.

In fondo le dinamiche umane non cambiano mai. Un tempo o diseredati e i folli venivano mandati all’addiaccio oltre il ponte levatoio del castello del principe. Oggi sono oggetto di rappresaglie tese a screditarli e  colpirli  socialmente. Solo i potenti sopravvivono meglio  ai rinvii a giudizio, alle gogne mediatiche,  alle accuse infamanti. I  fustigatori del sistema più facilmente soccombono se non ritrattano. E se lo fanno pur di sopravvivere  si  sono diffamati da soli perdendo credibilità e riabilitando il sistema. In fondo Frank Serpico, l’agente italo – americano che denunciò la corruzione della polizia di New York ,  dopo essere stato ferito al volto in un’operazione dove i colleghi non lo protessero,  fu costretto ad emigrare in Svizzera deponendo il distintivo a cui teneva tanto. Come dire che gli eroi di oggi non hanno strade loro dedicate, ma alcuni  ciò nondimeno accettano di pagare prezzi molti alti per i valori in cui credono.

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