Psiche e cancro

PSICHE & SOCIETA’ di Roberto Cafiso da LA SICILIA del 31.10.16

NON ESISTE IL CANCRO MA CHI NE E’ AFFETTO : LE CURE E LE FUGHE…..

Uno dei temi più scottanti per l’oncologia oggi è la fuga di pazienti verso terapie alternative rispetto alla medicina tradizionale . Il sogno è la guarigione e il miraggio,   frutto di speranze e spinte magiche, può diventare incoercibile. Bollare tutto ciò come un “pensiero primitivo” o , peggio, frutto di mera  ignoranza sarebbe un atto di arroganza. Il punto è chiedersi come mai certi pazienti si rivolgono altrove.  Cosa non ha funzionato nella relazione terapeutica tradizionale , che bisogni la medicina ufficiale non ha soddisfatto e perché.

Malgrado la scienza  abbia fatto enormi passi in avanti, spesso non riesce a dare il meglio di sé nel rapporto col paziente. I  motivi vanno dalla mole di lavoro di un reparto e include  le autodifese del personale sanitario attento a non coinvolgersi troppo, l’ incapacità di  decriptare le esigenze più profonde  della persona e dei  familiari, sino al dialogo dedicato col paziente. Fattori che hanno un peso decisivo nella fuga verso  cure centrate sulla persuasione pur  attraverso la manipolazione psicologica.

Il paziente oncologico accentua la propria individualità. Sia perché si avverte come un malato prescelto dalla cattiva sorte, sia perché, di conseguenza, si aspetta   il massimo delle attenzioni terapeutiche. Sappiamo come l’immagine di alcuni reparti di chirurgia  o medicina oncologica  , quella cioè di officine meccaniche che lavorano su “pezzi” andati a male e che  preparano la loro sostituzione o il loro ripristino, nuoce gravemente alla persona  che avverte carente il “prendersi cura”  che specie per questa patologia  ha un ruolo decisivo persino sull’esito delle cure.

In fondo i “trattamenti alternativi” per lo più mistificazioni o al meglio placebo,  curano molto la dimensione relazionale,  fidelizzando persone depresse e spesso disperate. E con esse i familiari che non sanno toccare a loro volta le corde di un rapporto utile del loro congiunto. Se ammalarsi di un cancro è un avvenimento tra i più drammatici della nostra epoca, far percepire al paziente  come la sopravvivenza  sia ormai statisticamente un’evidenza scientifica, costituisce ad oggi un nucleo multi faccia,  basato anche  sull’ attenzione rivolta all’ammalato. Il tutto tenendo conto delle complicanze psicopatologiche frequentissime , che vanno dalla sindrome post traumatica da stress, ai disturbi dell’umore e del sonno, sino a manifestazioni somatiche che il paziente può erroneamente  decifrare come ulteriori manifestazioni  del suo male.

Che il placebo sia una terapia non vi è dubbio. Vi sono studi a dimostrarlo. Essa si basa non a caso sulla compliance  e sullo spiegare al paziente come funziona la “terapia”. Il problema è la sua breve durata e il decadimento dei miglioramenti  dopo un primo periodo. Talvolta il lasso di tempo  rivolto alle ricette alternative si rivela fatale  per la patologia che intanto peggiora. In oncologia diventa allora fondamentale l’inclusione stabile del paziente, la cura psicologica e la condivisione con l’utente di quante più informazioni possibili, mettendolo direttamente in guardia dal richiamo di promesse di guarigione  da parte di sedicenti scienziati o ciarlatani aggregati.

L’individuo deve sapere e capire che ci si occupa di lui oltre l’infusione di chemio o sedute di radio. I parenti devono trovare a  loro volta un’interlocuzione quanto più esaustiva possibile, ricordando sempre il principio che le verità vanno somministrate con la giusta posologia  e non riversate come bombe d’acqua. Non è impossibile salvare più vite evitando migrazioni verso aree   taumaturgiche improbabili. Di cancro si può guarire, oppure si può morire in breve tempo affidandosi a mani incompetenti. E  non solo per scelta dell’ammalato.

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